Un altro aspetto essenziale è che le case plurifamiliari sono solitamente finanziate con ipoteche fino a un massimo del 75%. Ciò rappresenta un potenziale per proteggersi dalle conseguenze dell’inflazione: in tale contesto, infatti, il debito ipotecario è praticamente la controparte degli averi in conto e, come questi ultimi, anche il debito perde valore. Facciamo i calcoli nel caso di un proprietario che acquista un immobile con un’ipoteca a lungo termine dell’1,5%: con un’inflazione del 2%, guadagna lo 0,5% ogni anno. Se il tasso di inflazione annuale sale al 3%, il patrimonio netto aumenta dell’1,5%. L’ipoteca diventa in pratica “inflazionata”. In altre parole, in tempi di inflazione il calo del debito si traduce in un aumento del patrimonio in termini reali.
Tuttavia, questo calcolo funziona solo se i valori immobiliari tengono il passo con l’inflazione. Negli ultimi anni i prezzi degli immobili hanno subito un’impennata in diversi luoghi, ma ciò non rappresenta una previsione affidabile per il prossimo futuro. Se l’inflazione prosegue la sua crescita, lo stesso accadrà per i tassi di interesse, cosa che è già successa per le ipoteche a tasso fisso a lungo termine. E ci sono motivi per pensare che le banche centrali negli Stati Uniti e nell’area euro continueranno ad aumentare i tassi di riferimento.
Con un certo ritardo, anche la Banca nazionale svizzera si allineerà. Katharina Hofer di UBS chiarisce: “L’aumento dei tassi di interesse ha un effetto inverso sul valore degli immobili”. Questo vale senza dubbio per le case plurifamiliari, ma anche per quelle unifamiliari. Il tasso di sconto svolge un ruolo centrale nella valutazione degli immobili secondo il metodo del valore di rendimento o del discounted cash flow (DCF); il tasso di interesse è un fattore che fa la differenza nella valutazione. I tassi in aumento possono generare un notevole effetto leva. In termini puramente aritmetici, i valori immobiliari potrebbero diminuire del 20-30% in caso di un forte aumento dei tassi d’interesse.